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Le attività di impresa hanno generato, nel corso della storia del nostro Paese, gravi impatti sulla salute di cittadini e cittadine residenti in territori che hanno ospitato industrie e produzioni inquinanti. A partire dagli anni 50 e 60 del Novecento l’Italia è stata investita da un boom economico che ne ha cambiato i connotati, trasformando territori, in gran parte arretrati, nelle sedi di fabbriche e stabilimenti all’interno dei quali si è costruito il futuro.
Il cambiamento è stato rapido e inarrestabile, nel giro di pochi decenni intere aree, tradizionalmente meno sviluppate o dedite all’agricoltura, sono divenute aree industriali. Gli italiani e le italiane entravano in fabbrica, i salari salivano e il benessere pareva essere una prospettiva concreta, materiale e perpetua.

Non è andata così, molte delle imprese nate in quel periodo nel giro di vite di qualche decennio hanno chiuso. Molte altre permangono ma l’elemento realmente unificante di questa storia è certamente quello degli strascichi che hanno lasciato sulle vite di cittadini e cittadine. Gli impatti sulla salute sono divenuti presto palesi: sono improvvisamente aumentati i tumori, le malattie, i ricoveri ospedalieri e le morti.
La storia recente ha mostrato come all’avanzata inarrestabile dello sviluppo economico di questo Paese si sia affiancata, di pari passo, una storia diversa, di avvelenamento di territori, di sostanze inquinanti, di contaminazione.

La mappa dello sviluppo industriale è una mappa di contaminazioni

Una importante parte dei siti interessati dalla presenza di industrie nel secolo scorso ha pagato il prezzo di quello sviluppo con il deterioramento delle condizioni di salute di chi li abitava. Così, dalla mappa del nostro sviluppo industriale, possiamo vedere in controluce la mappa dei SIN. I Siti di Interesse Nazionale sono territori che hanno ospitato industrie inquinanti e che ne risultano contaminati, con gravi impatti sulla salute della popolazione. Lo Stato li ha presi in carico con il Testo Unico Ambientale 152 del 2006, stabilendone la priorità della bonifica.
Si tratta di un dato che riguarda l’intero territorio nazionale, ogni regione italiana ne è interessata. A eccezione del Molise, ma soltanto perché il suo SIN (Guglionesi) è stato declassato a SIR, Sito di Interesse Regionale.

Il Testo Unico Ambientale del 2006 stabilisce l’esistenza di 58 SIN. Adesso ne contiamo 42, ma solo perché gli altri sono stati declassati tra i 35.000 SIR che costellano il territorio nazionale. La superficie interessata corrisponde a più di 177mila ettari di aree terrestri e quasi 78.000 di aree marine. Lo 0,6% del nostro Paese. Per dare una misura più chiara, si tratta di 1800 chilometri quadrati: come se Roma, Napoli, Milano e Palermo insieme fossero completamente contaminate in tutto il proprio territorio. Se a questi numeri aggiungiamo quelli dei SIR, raggiungiamo la soglia del 3% di territorio nazionale contaminato. Il 3%, in cui abita il 10% della popolazione: sei milioni di persone. Tutti gli abitanti di Napoli e Roma insieme.

Gli impatti sulla salute delle comunità

L’individuazione di una mappa della contaminazione ha consentito la nascita gli studi epidemiologici.
Sono arrivati quasi subito dopo. Il più importante, “Sentieri, Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio di Inquinamento”, è un report periodicamente aggiornato dall’Istituto Superiore di Sanità. Lo studio analizza le condizioni di salute delle popolazioni residenti nei SIN per verificare gli impatti sulla salute prodotti dalla contaminazione. I dati confermano costantemente quello che le popolazioni sanno già bene: sono rilevati eccessi di mortalità, incidenza tumorale, malattie del sistema nervoso o neurovegetative e diversi altri impatti sulla salute. Tutti al di sopra delle medie nazionali.

Riguardano uomini, donne e bambini. Persone che non hanno alcuna altra colpa se non essere nate nel posto sbagliato. Uomini e donne che stanno pagando con la vita lo sviluppo di questo Paese, che si portano nel corpo e nel sangue l’eredità di quelle contaminazioni. Gliela ha lasciata senza volerlo la generazione dei loro genitori e dei loro nonni. Uomini e donne che hanno reso grande questo Paese, che hanno contribuito alla sua crescita economica e che in cambio ne hanno ricevuto sostanze che li hanno avvelenati. E con loro le generazioni a venire. Si tratta spesso dell’unica eredità a loro disposizione: Sentieri ci mostra che più del 50% della popolazione residente presso i SIN proviene dalle fasce sociali più svantaggiate. Sono i più poveri, le più povere, le persone sulla cui pelle sono stati costruiti il nostro benessere e la nostra ricchezza.

Chi renderà giustizia a queste comunità?

Dai tetti bianchi di Casale Monferrato alle strade rosse di Taranto, dall’odore di diossina dei roghi tossici in Terra dei Fuochi a quello acre che possiamo respirare intorno alle raffinerie di Porto Marghera o Gela, dall’esplosione dell’Enichem di Manfredonia ai costanti incidenti della Raffineria di Sannazzaro de Burgundi, c’è un pezzo di questo Paese che vive ogni giorno nella contaminazione. Sei milioni di persone che non hanno sentito parlare di studi epidemiologici per la prima volta solo due anni fa. Che indossavano la mascherina già da molto tempo, durante i cortei. Che con gli agenti patogeni hanno a che fare da tutta la vita, e che di questi non si libereranno mai, perché non esiste vaccino per questo virus.

Chi renderà giustizia a queste comunità? Chi risarcirà, e come, le vite di chi ha subito gli impatti di un miracolo che nemmeno ha vissuto?
Giornate come questa dovrebbero far riflettere sul debito di giustizia che abbiamo, come comunità, verso quelle popolazioni. Su come non si tratti di mere questioni locali, ma di questioni rilevanti per tutti i cittadini e tutte le cittadine di questo Paese. Di come l’esigenza immediata di bonifiche, di screening sanitari e di assistenza medica per questi uomini e queste donne debbano essere una priorità e una richiesta impellente di tutti e tutte noi.

di Rita Cantalino